
Inutile fingere, nell’immaginario collettivo l’animalista è una donna che ha superato l’adolescenza da un pezzo, che vaga per le strade della città coperta di semi stracci e con le tasche piene di crocchette per cani e gatti randagi.
Nell’immaginario collettivo, questa ipotetica donna è anche, per forza, una persona noiosa, perché la sua passione sono gli animali, possibilmente puzzolenti, e sai che palle gli animali.
Noi oggi ve ne presentiamo una, di animalista, che è sì donna, ma che non è per niente come te la aspetti.
Lei si chiama Simona Spanu, ha trent’anni ed è un’animalista attiva fin da quando di anni ne aveva 19.
Simona è bella, dentro e fuori. E non vuole essere questa la solita frase detta, o scritta, per fare un complimento vago: ci teniamo a sottolineare che lei è un esempio di donna in cui la bellezza esteriore è proporzionale a ciò che ha dentro il cervello. Di Simona colpiscono la forza di volontà, la calma con cui affronta i mille impegni quotidiani e l’umiltà: potrebbe farlo, e invece non è una che si autocelebra, anzi, fa ciò che deve fare in silenzio e senza presentarsi come un’eroina. Che avesse le idee chiare la sua famiglia lo ha capito presto: a diciott’anni Simona si iscrive all’Università di Medicina Veterinaria di Sassari, a venti diventa la delegata su Cagliari dell’OIPA (Organizzazione Internazionale Protezione Animali) e, dopo aver fatto esperienza sul campo, decide che vuole provare a realizzare il suo sogno; l’obiettivo è quello di creare un luogo nel quale accogliere i cani randagi che non rappresenti, nei limiti del possibile, un evento traumatico per il cane stesso, un luogo in cui la sua presenza non si configuri come uno stallo passivo ma attivo: nasce così, nel 2008, La Casa del Randagio, una Onlus che ospita una ventina di cani all’interno di un terreno ubicato a pochi km da Cagliari.
Simona, tante persone immaginano gli animalisti come dei personaggi brutti, sporchi e noiosi; tu hai iniziato a muoverti all’interno dell’ambiente del volontariato cagliaritano quando eri molto giovane: come vedevano questo impegno i tuoi coetanei? Venivi considerata ‘diversa’?
«Devo ammettere di essere stata abbastanza fortunata: per i miei coetanei l’impegno del volontariato veniva considerato un valore aggiunto. Credo però che pochi di loro fossero realmente consapevoli di cosa facessi, non so come immaginassero che passassi il tempo, probabilmente in giro per le strade a cercare animali da salvare».

Puoi dire di aver realizzato il tuo sogno di creare un rifugio in cui ogni singolo cane ha la possibilità di essere valorizzato?
«È un lavoro continuo, ma sono felice di poter affermare che nel nostro rifugio viene dato ampio spazio anche alle esigenze psicologiche dei cani: tutti i volontari sono formati per creare attività atte a migliorare la qualità della vita dei cani che sostano da noi in attesa di adozione. Cerchiamo quotidianamente di coinvolgere i cani in attività mirate non solo ad accrescere il loro indice di adottabilità, ma anche a spezzare la noiosa routine che le giornate in canile possono rappresentare: passeggiate, esercizi di mobility, prove di socializzazione ecc.. Tutto questo non sarebbe possibile senza due fattori: il primo è rappresentato dal lavoro di gruppo, per il quale ci avvaliamo anche del prezioso aiuto di educatori cinofili e veterinari comportamentalisti; il secondo è dato dal fatto che il numero dei nostri ospiti è volutamente limitato: è fondamentale mantenere un numero di cani al quale siamo in grado di fare fronte, sia a livello economico che organizzativo; preferiamo insomma avere la possibilità di sfamare, curare e offrire le giuste attenzioni ad un minor numero di ‘ospiti’ piuttosto che accoglierne a centinaia senza avere la reale possibilità di farlo. Il prossimo obiettivo è quello di poter migliorare il profilo strutturale del rifugio».
Fare volontariato, lo dice la parola stessa, non significa svolgere un lavoro: qual è lo stimolo che ti spinge ad affrontare quotidianamente gli impegni che l’associazione rappresenta? Non ti è mai venuta la voglia di lasciar perdere tutto e vivere la tua giovinezza come la maggior parte dei tuoi coetanei?
«Lo stimolo proviene dai risultati ottenuti fino ad ora, nel senso che nel momento in cui vedo con i miei occhi che un determinato cane, trovato in condizioni psicofisiche per niente ottimali, rifiorisce grazie alle cure veterinarie, ritrova fiducia nell’uomo grazie al lavoro di riabilitazione, e infine trova una famiglia con la quale trascorrere il resto della sua vita, ecco, allora capisco che i sacrifici sono davvero serviti e so che serviranno in futuro. Se ho mai pensato di lasciar perdere tutto? No, sebbene non siano mancati e non manchino dei momenti di sconforto e di demoralizzazione, a volte perché non passa un’ora tra un’emergenza e un’altra, a volte perché le raccolte fondi vanno bene ma non abbastanza, a volte perché qualcuno si introduce al rifugio e ci deruba dei beni di prima necessità. Ma so che si tratta di momenti e cerco sempre di rialzarmi al più presto. Sì, forse la mia giovinezza è stata differente da quella di tanti ragazzi, ma se potessi tornare indietro lo rifarei, eccome».

Cagliari non è una metropoli, e come spesso accade nelle piccole realtà, chi si espone in prima persona va incontro non solo a incoraggiamenti ma anche a critiche, spesso poco costruttive: come reagisci in queste situazioni?
«Devo fare un distinguo tra il prima e il dopo. Il prima è rappresentato dai miei primi anni da volontaria: ero molto giovane e gli altri volontari con i quali mi confrontavo erano persone più grandi ed esperte di me; questa differenza d’età mi spaventava, nel senso che davo quasi per scontato che le mie idee fossero meno valide per via della mia età; col passare del tempo invece ho iniziato a far valere la mia opinione, e sebbene questo abbia dato vita talvolta a degli scontri, sono divenuta più forte e più autonoma. Passiamo al dopo, che sarebbe lo stato attuale: quando ricevo delle critiche mi soffermo sempre a rifletterci e mi chiedo per quale motivo siano nate e dove io possa migliorare; quando invece si tratta di critiche non costruttive, ho imparato a lasciarmele scivolare addosso».
Vogliamo sfatare il mito dell’animalista noioso e asociale: cosa ti piace fare quando sei libera dagli impegni dell’associazione e dallo studio?
«Come tutti i ragazzi della mia età, amo passare del tempo con i miei amici, che si tratti di una cena, di una serata al cinema o di una passeggiata in centro. Cerco sempre di trovare lo spazio per me: non tutti i giorni è possibile trovarlo, lo ammetto, ma sono convinta che dedicarsi del tempo e in un certo senso coccolarsi, sia necessario per affrontare gli impegni dell’associazione in maniera più serena. Se mi dedicassi solo ed esclusivamente all’associazione e non avessi un minuto da dedicare a me, sono certa che l’attività di volontariato ne risentirebbe».

Come ti vedi tra vent’anni?
«Pensare al futuro un po’ mi spaventa, ma provo a immaginarmi: spero di essere una veterinaria soddisfatta del proprio lavoro, che condivide con il proprio compagno e con i propri figli la passione per gli animali e che continua a darsi da fare per questa causa ogni giorno».
Cagliari e l’animalismo: come definiresti questa relazione?
«Definirei Cagliari come una città che vive e sa vivere l’animalismo: anche chi non è attivo in questo ambito tende a rispettare la scelta di chi lo fa, e in generale le problematiche animaliste destano dell’interesse. Purtroppo la situazione tende a peggiorare man mano che ci si allontana dalla città, ma ci auguriamo che col passare del tempo questa condizione possa mutare».
Se volete conoscere meglio l’attività svolta da Simona e l’associazione La Casa Del Randagio, ecco qualche link utile:
FACEBOOK: https://www.facebook.com/groups/casadelrandagionlus/?fref=ts
SITO: http://www.oipa.org/italia/
Articolo: http://www.vivereacagliari.com/simona-spanu-il-bello-dessere-animalista/
Immagine di copertina: Ritratti italiani, 2015. Luca Spennacchio (Fotografo)
Silvia Dessì